
Ah, le frittelle! E quei fastidiosi coriandoli ovunque. È il carnevale: vi mette allegria? Per me il carnevale è come il circo e il lunapark, uno spazio che lascia campo libero al grottesco, lascia campo libero affinché il grottesco venga a galla e non fingiamo di dimenticare che è un aspetto del reale.
E ci offre lo spunto di parlare di maschere, come topos letterario e come sistema di vita.
Andiamo con ordine.

Se vogliamo, la letteratura è un inventario di maschere che come lettori scegliamo di indossare. Ogni personaggio, per quanto peculiare, caratterizzato in modo da essere unico nel suo genere proprio come lo è una persona, racchiude aspetti che appartengono all’umano. Dentro il personaggio, dietro di lui, noi lettori possiamo vivere quegli aspetti che normalmente teniamo nel cassetto, siano l’avarizia, la crudeltà, lo spirito di avventura, la curiosità come qualsiasi altra caratteristica vogliate aggiungere.
Achab e la sua fissazione, Alice e la sua natura curiosa, Oliver Twist e la sua innocenza, Hester Prynne e la sua dignità. Eccetera, eccetera.
Il personaggio si presenta a noi completamente a nudo, spesso conosciamo aspetti di lui che lui stesso faticherebbe a riconoscere come propri. È il lettore che ha bisogno, per il proprio piacere letterario, di usare il personaggio come travestimento attraverso cui vivere l’esperienza del libro. Solo indossando quella maschera creerà l’empatia necessaria affinché quella storia sia anche la sua storia.
La crisi della lettura, di cui tutti parlano, è probabilmente una delle cause che hanno spinto l’essere umano a cercare maschere altrove. Non più soddisfatto, nella sua ricerca del mondo, dall’esperienza della lettura – il motivo lo lascio decidere a voi: pigrizia, plagio… – poiché l’ha progressivamente abbandonata, l’umano ha bisogno di fare esperienza del mondo in altro modo. Un po’ la fa per quello che è, che ha deciso di essere (anche qui, spesso si tratta solo di maschere, ma così ben incollate addosso da rendere assai difficile sbarazzarsene). La chiameremo esperienza diretta. E un po’ se la inventa. La finzione che era rappresentata dall’esperienza di lettura viene a mano a mano sostituita dalla finzione dei mezzi di comunicazione, meglio noti come social network, che rappresentano a tutti gli effetti mondi virtuali in cui possiamo indossare le maschere che ci pare. Questo passaggio, però, ha svuotato l’esperienza del travestimento della sua parte più importante: le maschere negative. Sui social sembriamo tutti felici, ricchi; le nostre vacanze sono sempre splendide, le nostre pause pranzo sempre cool, e i nostri figli sono sempre dei geni, anzi, dei bellissimi geni.

Nessuno di noi decide mai, un giorno, di comunicarsi attraverso i social media come uno sfigato, come uno che nonostante gli sforzi, non ce l’ha fatta. Come uno che non è alla moda, ma preferisce guardare Colombo per la centesima volta, piuttosto che essere un esperto di serie TV (bellissime) moderne. È normale, perché tutti sanno che quella maschera ci appartiene, la identificano con noi.
Invece, la lettura, offre maschere solo a noi, nell’intimità delle pagine del libro. A nessuno importa se oggi sono sfortunato e ingenuo come Oliver Twist, o mirabolante come il Grande Gatsby. La maschera che il personaggio mi offre rimane sulla mia faccia solo il tempo che ho deciso di dedicare al mondo del romanzo, e nessun altro lo sa. Nessuno immagina se l’ho indossata con compiacimento o fastidio.
È vero, tutto è narrazione. Le serie TV, il profilo Instagram o di qualche social network che io non conosco ma i giovani sì. Tutto. Ma niente riesce ad avere la completezza della narrazione letteraria, niente riesce a sostituire appieno la necessità di fare esperienze lontane da noi, nel bene e nel male, attraverso le parole su una pagina. Il libro è davvero un portale verso altri mondi. Allarga le prospettive, aumenta la capacità di empatia, regala emozioni nuove… che poi il lettore si riporta nella realtà ordinaria, come un dono di magia.