Quelle scrittrici dimenticate

Quando andavo a scuola facevo davvero fatica a capire la matematica: non mi entrava in testa, non era qualcosa che mi veniva naturale e spesso ancora adesso, per contare, uso le dita. All’epoca non me ne preoccupavo, tanto sapevo che i numeri non erano amici delle donne; lo dicevano tutti: le donne non sanno parcheggiare e fare di conto. Quindi durante le ore scientifiche non prestavo la minima attenzione a quello che faticosamente cercavano di insegnarmi, la consideravo una battaglia persa e non avevo voglia di dedicare a quella causa energie inutili. Energie che per esempio avrei potuto utilizzare nelle materie in cui riuscivo meglio, lettere e storia dell’arte sopra tutte. Già, perché si sa che le donne sono geneticamente più propense a sciogliersi davanti a un endecasillabo o a emozionarsi per un uso sapiente del colore. Fino a qualche tempo fa, le materie didattiche erano decisamente una questione di genere.

Oggi per fortuna le cose sono un po’ cambiate, il talento per la matematica non è appannaggio esclusivamente maschile – anche se per me rimane comunque ancora una lingua sconosciuta – e le iscrizioni rosa alle università di impostazione scientifica sono decisamente aumentate. Ma le lettere rimangono comunque roba da donne. Questo non significa però che il sistema umanistico sia libero dal sessismo. Anzi.

Avete provato a sfogliare un’antologia scolastica? Andate all’indice. Quante scrittrici trovate nella sezione dedicata alla letteratura italiana del Novecento? Vi tolgo dall’imbarazzo e ve lo dico io. Cinque. Grazia Deledda, la prima donna italiana – e per ora l’unica – ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1926. Elsa Morante, la quale se è vero che è stata la prima a vincere lo Strega con l’Isola di Arturo, è altrettanto vero che ha sempre dovuto pagare un pegno di popolarità al marito Alberto Moravia. Per quanto riguarda la prima metà del Novecento, è tutto. In seguito va un po’ meglio. Dopo un ventennio di battaglie e di conquiste femministe, negli anni Ottanta le quote rosa salgono addirittura a tre: la mainstream Alda Merini, Patrizia Valduga e Antonella Anedda. Ma perché le donne non trovano il posto che gli spetta nella storia della letteratura italiana? O meglio, riformulo la domanda, non compaiono per demerito, o perché non sono state riconosciute loro pari opportunità?

Alcuni imputano questa assenza alle difficoltà che incontravano ad accedere al mondo del sapere. Non dimentichiamo che bisogna aspettare il 1874 perché alle donne venga data la possibilità di iscriversi ai licei e all’università.

C’è invece chi ritiene che sia stata perpetrata ai loro danni un’opera costante e sistematica atta a svalutarne le competenze, le idee e il talento. In molte librerie esistono settori dedicati “alla narrativa al femminile” – quella che incontra cioè i gusti di noi creature lunari e isteriche – composti prevalentemente da letteratura di genere, il corrispettivo di quello che un tempo era il feuilleton: romanzi d’amore con trame scontate e povere, imbottiti di stereotipi e confezionati in vestitini bon-ton che attraversano tutte le gradazioni del rosa. Una letteratura per gli uomini, quindi, seria impegnata, e d’autore, e una letteratura per le donne, frivola, leggera e romantica. Ecco quindi che viene fuori con chiarezza la tendenza a inquadrare le scrittrici – e le donne in generale – in una sottocategoria fatta da donne che scrivono per le donne di cose da donne. Una tendenza, questa, a narrare le cose del mondo che presume solo un punto di vista, quello maschile. Un malcostume che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi e che contagia ogni aspetto della società.

Ma chi sono queste donne, che avrebbero potuto meritare almeno un cenno nei libri di scuola e che invece sono cadute nell’oblio? Ne cito alcune, lasciandone indietro colpevolmente altre, ma ripromettendomi di riparare presto a quest’ingiustizia.

Amalia Guglielminetti

Amalia Guglielminetti proviene da una famiglia dell’alta borghesia ma, sin da giovanissima, vuole sfuggire alla rigida e soffocante disciplina che le viene imposta in casa. Inizia subito a scrivere e nei primi del Novecento frequenta il circolo di cultura torinese, dove intreccia anche una relazione con Guido Gozzano. Definita “scrittrice uterina” in seguito all’uscita della sua seconda prova poetica, le Vergini Folli – ma anche l’unica poetessa che abbia oggi l’Italia da Gabriele D’Annunzio – Amalia dà voce, sia in poesia che in prosa, alla volontà femminile di ribaltare il gioco dei poteri sessuali con il maschio, portandola alle sue estreme conseguenze. In La rivincita del maschio, un uomo sadico e perverso viene ucciso da una delle sue amanti, lesbica. Quello che si dice eliminare il problema alla radice.

Sibilla Aleramo, aka Rina Faccio, è costretta a sposarsi a quindici anni. È un matrimonio riparatore che avrà vita breve e che si conclude nel momento stesso in cui nasce la vera Rina nei panni di Sibilla, quando abbandona cioè marito e figli per iniziare la sua seconda vita, tra Parigi, i futuristi e naturalmente Dino Campana. Nel suo romanzo autobiografico Una donna, da molti considerato la prima vera opera femminista, Aleramo analizza la condizione delle donne attraverso la propria storia. Parla di maternità, di sofferenza, di ambizioni e di quella necessità di riscatto che alla fine l’ha salvata. Ma soprattutto, per la prima volta in un’opera letteraria, uno stupro è raccontato in prima persona da chi scrive.

Annie Vivanti

Annie Vivanti è nota alle cronache di fine Ottocento soprattutto per il gossip di cui è protagonista, che la vede intrecciare con Giosuè Carducci una relazione sicuramente intellettuale, ma secondo alcune malelingue anche carnale. Lei ha ventiquattro anni, lui cinquantacinque. Lo scandalo impazza nei circoli letterari, la storia è sulle bocche di tutti. Si arriva anche a un processo che le costerà la stroncatura di un romanzo. Lui si innamora e scrive per lei la prefazione alla sua raccolta di poesie Lyricae, un distillato di paternalismo maschilista: «Signorina, nel mio codice poetico c’è questo articolo: Ai preti e alle donne è vietato far versi. Per i preti no, ma per Lei l’ho abrogato…». Lei sposa due anni dopo un giornalista irlandese che le darà una figlia, Vivien Chartres, diventata in seguito un’acclamata violinista. A lei si ispira il primo vero best-seller della Vivanti, I divoratori , in cui la scrittrice si interroga sul talento di una figlia che distrugge e cannibalizza quello di una madre, che a sua volta aveva fagocitato quello della propria madre, in una spirale di dolore che suona come un terribile presagio. Annie non sopravvive al suicidio della figlia e muore nel 1942.

Maria Luisa Spaziani, con Gadda e Ungaretti, al Premio Viareggio 1950

Maria Luisa Spaziani a diciannove anni fonda e dirige la rivista «Il dado», a cui collaborano Vasco Pratolini, Sandro Penna, Vincenzo Ciaffi. Poco prima di morire, Virginia Woolf le fa avere un capitolo del romanzo Le onde con una dedica autografa: «Alla piccola direttrice». Grazie al suo lavoro poetico ottiene tre volte la candidatura al premio Nobel per  la letteratura, nel 1990, 1992 e 1997. Quindi tanto scarsa non doveva essere. Eppure viene ricordata quasi solo per essere stata la Volpe di Montale. Se non è maschilismo questo….

Alba Carla Lauritai de Céspedes y Bertini è invece scrittrice, poetessa,  autrice di testi per il cinema e il teatro, radiocronista, giornalista e intellettuale impegnata. Il suo primo romanzo, Nessuno torna indietro, viene pubblicato nel 1938 da Mondadori che deve faticare non poco per evitare che la censura del regime fascista ritiri dalle librerie quello che, in breve tempo, sarebbe diventato un best-seller internazionale. Il libro ottiene infatti uno straordinario successo di critica e di pubblico e si aggiudica il Premio Viareggio ex aequo con Vincenzo Cardarelli, vittoria che però verrà annullata a entrambi nel giro di qualche ora per motivi politici. Nelle sue pagine De Céspedes aveva osato dar voce a una femminilità libera, conscia di sé e delle proprie risorse, desiderosa di ridefinire i contorni della propria esistenza ed estranea a ogni idea di “angelo del focolare”. E per questo è stata condannata all’oblio.

Lo sapevate poi che Una donna con tre anime di Rosa Rosà è stato il primo romanzo di fantascienza mai pubblicato in Italia da una donna? Nato come risposta a Come si seducono le donne di Marinetti, si è trasformato poi in un lavoro potente e originale, che seppur inserito in una corrente ben delineata, quella futurista, è stato in grado di anticipare tematiche femministe e intuizioni che solo molti anni dopo avremmo cominciato a considerare familiari. La casa editrice Il Papero nel 2018 ha inaugurato la collana “Sorelle d’Italia”, dedicando la seconda uscita proprio alla ristampa della Rosà.

Insomma, nella prima metà del Novecento le scrittrici ci sono state, i best-seller anche, il gossip non è mancato. E allora perché di queste donne a scuola non si sente parlare?

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