Ogni storia è una porta che ci permette di varcare il confine tra quella che consideriamo la nostra realtà e la “realtà” letteraria, cinematografica, televisiva o musicale.
Shakespeare lo sapeva, per questo ha dato vita a nuove parole in inglese che si adattassero a esprimere ciò che voleva come voleva.
Morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sapeva per esempio che dormire è morire. E sognare è il viaggio che inizia varcata la porta tra la veglia e il sonno. Noi viviamo senza mai pensare al fatto che moriamo ogni giorno, più volte al giorno. Quando ci addormentiamo; nella piccola pausa tra un battito del cuore e il successivo, tra un respiro e l’altro. Passiamo di continuo dal visibile all’invisibile e dall’invisibile al visibile. Se ne avessimo consapevolezza, la morte non ci farebbe più paura. Siamo pura pulsazione, come la particella di Heisenberg, che appare e svanisce, appare e svanisce…
Anche una sinfonia è una storia, una porta in fondo. Come non ricordare che la musica è quella melodia che si sente grazie alla pausa, al vuoto, tra una nota e la successiva.
Aurelia, Aurélia parla proprio di questo: di transiti; di storie che aiutano a compiere transiti, di separazioni, di bardi. Aurelia, Aurélia non è un romanzo, è un memoir, scritto dall’autrice Katrhyn Davis per elaborare il lutto per la morte del suo secondo marito. Quindi diciamo che è tante storie, sì, che confluiscono tutte verso il finale, passando dal tempo lineare della vita dell’autrice al “fuori dal tempo” che ogni raccontare rappresenta. Ogni storia è una porta… e l’invito a varcarla.
Enjoy and be joyful!