Le parole: un mondo di emozioni da utilizzare con cura

Le parole esprimono idee, concetti ed emozioni. Spesso emozioni legate a idee. Se indosso una maglietta con la scritta “Sono bionda e sono un genio”, è chiaro che voglio asserire qualcosa contro la discriminazione nei confronti delle donne, che nell’immaginario purtroppo ancora molto collettivo possono essere o belle o intelligenti, mai le due cose insieme.

Si sente spesso dire che le parole sono importanti

Vero, certo, ma questa frase viene interpretata da ognuno in modo molto personale e in generale in modo limitante. Le magliette con le parole imperversano da decenni, fino ad arrivare agli abiti manifesto indossati da Chiara Ferragni sul palco dell’Ariston. Non apriamo qui la parentesi sui tatuaggi come forma di asserzione del sé.

L’abito non basta più, ci vogliono le parole

È come se la nostra incapacità di leggere il mondo, attestata purtroppo da una sempre più diffusa incapacità di comprendere testi anche semplici, coinvolgesse la gestualità di relazione. Tra un po’ dovremo dire che tipo di abbraccio stiamo per dare alla persona davanti a noi, affettuoso o sensuale. Il gesto in sé necessiterà di una spiegazione.

Stiamo esagerando? Certo

Quando si scrive si tende a esagerare. Si tende a usare parole molto forti o molto dolci per enfatizzare l’emozione che l’autore vuole suscitare in una determinata scena o descrizione.

Ma la nostra è un’esagerazione che ha un po’ il sentore della profezia. Andando avanti di questo passo cresceremo bambini e ragazzi che non sapranno relazionarsi con le emozioni naturali, che un essere umano può provare e prova sempre, anche quelle che razionalmente ritiene inaccettabili, come l’odio. La cosa grave non è provare odio, ma non saperlo riconoscere.

L’epurazione dei testi di Roald Dahl

Lasciateci usare il termine. Ma può la letteratura essere politically correct? Lo è solo una letteratura di regime, che deve rimanere entro certi dettami.

È importante usare parole di rispetto nei confronti delle minoranze, ma un conto è la vita e un altro la letteratura. Il rispetto è la base di partenza di ogni interazione. Ma questo ci ha portato a pensare che per rispettare le differenze non ci debbano essere differenze. Le differenze invece sono belle, bellissime, ognuna di esse, e sono anche quelle che ci rendono unici, ognuno con un proprio mondo da raccontare e mostrare.

Il tentativo di rendere i testi di Dahl più adatti ai tempi in cui viviamo è un’operazione di appiattimento delle differenze, come se quelle parole che sono state cambiate fossero oggi incomprensibili per i bambini che vivono nel mondo in cui viviamo anche noi.

Questo per sottolineare la pericolosità del demandare sempre ad altri la responsabilità di crescere generazioni di persone sensibili e mature e ai nostri occhi perfette. La perfezione ovviamente non esiste, esistono sfumature di perfezione (e quindi di imperfezione), sfumature di bellezza (e quindi anche di bruttezza).

Viviamo sulla difensiva, credendo che debbano essere sempre gli altri a fare qualcosa: le istituzioni, la scuola… e ora i libri di narrativa. La responsabilità per un mondo migliore è invece tutta nelle nostre mani.

Non dipende però da quello che leggiamo, da quello che pensiamo, dalle parole che utilizziamo, ma da come gestiamo tutto ciò.

I libri ci aprono mondi che nella nostra realtà non viviamo, o ci aiutano a capire il mondo in cui viviamo da una prospettiva che non avevamo considerato.

Non togliamo le emozioni dai libri, non pretendiamo che i nostri figli, ma anche i nostri amici, non provino rabbia o tristezza perché è giusto essere sempre felici. Non funziona così. Si è sempre felici quando si possono provare senza sensi di colpa tutte le emozioni di cui la natura ci ha dotato, per riconoscerle e gestirle nel rispetto di sé e degli altri.

Se volete leggere parole che agiscono come lame senza alcuna paura, vi consigliamo la raccolta di racconti di Clare Fisher, Da dove entra la luce.

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