Donna, madre, persona. Una riflessione sull’8 marzo

La Giornata internazionale della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per riflettere e ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo. Erroneamente i media ne parlano come della “festa della donna”, in effetti la dicitura corretta è “giornata internazionale” poiché la motivazione non è di festa, ma di riflessione e dibattito sociale.

Mimose, proteste, iniziative culturali, discorsi importanti… Se è la donna che vogliamo celebrare, se sulla sua condizione che riflettiamo, ecco che nei discorsi a proposito emerge sempre un’altra parola: madre. Il binomio donna-madre è insidioso, non riusciamo a sfuggire ad esso.

Il potere sociale della donna, oggi e in passato

In passato era incoraggiata l’identificazione forte della donna come “angelo del focolare”, madre di prole numerosa e forte, nutrita e curata in una casa sempre ben tenuta. La donna amministrava l’economia domestica, gestiva la servitù, l’arredamento, gli inviti di ospiti… Il dominio della donna era estremamente pratico e non riguardava il potere politico e “monetario”, economico in senso stretto del termine. Gestiva la sfera di reputazione sociale della famiglia, tanto è vero che, se un uomo non fosse stato sposato, si sarebbe ritrovato tagliato fuori da tutta una serie di attività sociali, che appunto erano gestite dalle donne. Per questo la donna è rappresentata sempre al fianco dell’uomo, in una funzione ancillare rispetto alle decisioni considerate importanti, tuttavia indispensabile all’equilibrio familiare e sociale. Si trattava concretamente di una divisione dei poteri, che oggi è venuta meno.

La donna nel corso del secolo scorso ha combattuto affinché questa tradizionale divisione venisse meno; affinché le fossero accordati i diritti sociali, economici e politici al pari degli uomini. C’è molto lavoro da fare ancora, siamo ben lontani dall’effettiva equità di trattamento in molteplici ambiti. Ad oggi alla donna è richiesto di occuparsi di entrambe le sfere del potere: è rimasta la “regina del focolare”, ma lavora, ha diritti politici ed è responsabile del suo patrimonio. Nonostante quest’emancipazione la donna lavoratrice non è mai esentata da critiche e pregiudizi.

Disequilibri e sfide

Il potere della donna è sempre stato poco, per nulla regolamentato e considerato socialmente valido; non si riteneva che fosse un potere, nonostante lo fosse a tutti gli effetti. Questo ad oggi porta rimostranze e resistenze da parte degli uomini, che non vedono attraente e necessario occuparsi di quella sfera di potere.

E così torniamo al binomio donna-madre. In passato non c’era alternativa, una donna era una madre, non erano previste alternative socialmente accettate – e le poche eccezioni confermavano la regola generale. Oggi una donna può essere madre, ha ottenuto la possibilità di scegliere… Ma è davvero così? Numerosi i casi di donne, dal mondo dello spettacolo a quello della politica, che denunciano difficoltà nella gestione della loro immagine pubblica e della loro maternità. Come se queste cose fossero inconciliabili e al contempo inesorabilmente unite.

Una lettura per riflettere

E quando invece non si vive la maternità? A questo proposito vorrei parlarvi di un libro, Clarissa di Edith Olivier.

Agatha, la protagonista di questa storia, si ritrova in una grande casa vuota: non si è mai sposata, non ha avuto figli e recentemente è venuta a mancare la sua anziana madre. Schiva e asociale, combatte la solitudine che sente intorno a sé rievocando Clarissa, la sua immaginaria amica d’infanzia. Inizialmente Clarissa appare solo ai suoi occhi, con lei Agatha può giocare e immergersi in quel mondo infantile che le è stato negato crescendo. Con il passare del tempo però Clarissa comincia a diventare visibile anche ai domestici della casa e alle altre persone fuori. Così questa zitella di trentadue anni nell’Inghilterra di inizio ‘900 offre l’unica spiegazione socialmente accettabile: Clarissa è sua figlia.

Da questo bisogno di Agatha di riconoscimento sociale, dalla necessità di avere un’identità nella società, per non rimanere completamente sola e avvizzire nel silenzio, prende vita Clarissa… Ma può l’immaginazione umana dar vita ad un’alterità? E pur assumendo che questa alterità esista, come esiste? Può vivere separata dalla mente che l’ha concepita?

La storia è permeata da una sottile nebbia di inquietudine che si insinua nel lettore man mano che la lettura prosegue…

Spunti di riflessione

Questa favola moderna enuclea con efficacia le problematiche insite nel binomio donna-madre. Agatha aveva bisogno di essere madre, per definirsi donna? Per meritare uno spazio nella società? A quel tempo sì, ma oggi è tanto diverso? Se una donna decide di essere madre, le viene richiesto di giustificare il modo in cui decide di gestire la sua famiglia, il suo rapporto con i figli e l’amministrazione della casa. Se una donna decide – o non – di non essere madre, le vengono richieste spiegazioni e viene guardata con disappunto, pietà in alcuni casi, certo perplessità.

Esistono molte donne, nella società di oggi. Alcune sono madri per scelta, altre per costrizioni o volontà di altri. Alcune non sono madri per scelta, altre per questioni legate alla salute, al corpo. Alcune sono madri pur non vivendo con i loro figli biologici, altre sono madri pur non avendo partorito o non avendo affatto un utero. Ma tutte sono donne. E andrebbero amate e anche disprezzate, ma sempre rispettate e onorate, per essere donne.

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